Meloni, il premier fantasma che si aggira per l’Europa: isolata per la resa a Trump, i “Volenterosi” la escludono

La premier al vertice di Tirana
Isolata dopo la resa a Trump, Giorgia tenta di recuperare con l’adesione a Rearm Europe ma i leader europei e Zelensky la escludono dai negoziati

Stavolta gli assenti dalla foto, scattata a Tirana, ai margini del vertice della Comunità politica europea, sembrerebbero il presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Merz. In compenso con Zelensky, la presidente della Commissione europea von der Leyen, il premier inglese Starmer e quello polacco Tusk c’è Giorgia Meloni. Ma la realtà purtroppo per la premier è tutta un’altra. Perché nella vera foto del giorno ci sono Tusk, Starmer, Macron, Merz e Zelensky, che parlano di Ucraina e telefonano anche a Trump, ma al tavolo Meloni non è stata invitata.
Può sembrare un po’ ridicola questa guerra delle foto nella quale i leader europei sgomitano per cacciare fuori dall’inquadratura qualche altro ai margini non tanto di qualche vertice o funerale ma di una guerra che infuria da oltre tre anni. Però la battaglia delle istantanee è sempre eloquente, descrive perfettamente lo stato delle cose nel momento dato. Quella di ieri racconta l’isolamento ma anche la disperata retromarcia di Giorgia Meloni. Lo scoop di Die Welt, secondo cui l’Italia sarebbe stata depennata dalla lista degli alleati privilegiati inclusi nella formula “Weimar plus”, dove Weimar sta per l’intesa Germania, Francia, Polonia, su richiesta della Spd, cioè del Pse, ha mandato fuori dai gangheri la maggioranza italiana. Le accuse rivolte al Pd di complicità in una cospirazione contro l’Italia si sono sprecate.
Il fattaccio terrà certamente banco nell’incontro di oggi pomeriggio a Roma tra la premier italiana e il cancelliere tedesco. Ma l’episodio, già in sé molto più che spiacevole, ha soprattutto confermato a Giorgia di trovarsi oggi sotto assedio: Macron che mira senza nasconderlo a renderla marginale, il Pse che la sgambetta come può, l’asse franco-tedesco che l’ha esclusa dalla cabina di regia e procede come se l’italiana non esistesse, i Volenterosi che procedono nel loro progetto di spedizione di pace armata in Ucraina alla quale l’Italia ha scelto di non partecipare. Il tentativo di mettere la principale leader della destra europea arrivata al governo fuori gioco ci sarebbe stato comunque. Lei però ci ha messo del suo. Ha facilitato di molto la manovra con lo sbandamento trumpiano: settimane nelle quali ha bruciato buona parte della credibilità europeista che si era conquistata, in larga parte grazie allo schieramento netto pro-Ucraina, in due anni e mezzo di politica internazionale.
Ora, incalzata anche dalle critiche velate ma chiarissime del presidente Mattarella e forse anche dal papa con cui ha parlato per la prima volta al telefono giovedì e che è molto più accalorato per la causa di Kiev del suo predecessore, Giorgia prova a tornare indietro. Il discorso che ha fatto ieri a Tirana è quasi sconcertante, se si pensa alle posizioni che strillava sino a pochi anni fa, per il suo tasso di europeismo: “L’Albania è Europa, come l’Italia o la Serbia, non importa se sono parte di questa o quella organizzazione. Tra chi siede a questo tavolo alcuni non hanno aderito alla Ue, altri aspirano a entrarci ma tutti sono non meno europei dei 27 della Ue. L’Europa è la casa comune ed essere qui oggi è un passo nel processo storico di riunificazione dell’Europa”. Ma soprattutto essere europei e schierarsi senza alcuna incertezza a fianco di Kiev sono la stessa identica cosa: “Ogni giorno l’eroismo e la tenacia del popolo ucraino ci ricordano cos’è l’Europa, il senso più profondo della nostra identità comune. La nostra libertà e la nostra sicurezza dipendono dal ristabilimento della forza del diritto sulla legge dei più forti”. Sono i toni che aveva adoperato per anni e che le avevano aperto tutte le porte a Bruxelles e a Washington. Sono anche quelli che aveva abbandonato per sbilanciarsi, commettendo un clamoroso errore, a favore della nuova Washington di Donald Trump.
La premier non si limita alle parole altisonanti. L’Italia dovrebbe essere presente al prossimo vertice dei Paesi che erano convenuti la settimana scorsa a Kiev e stavolta Giorgia ci sarà in carne ed ossa. Il governo ha ripreso in considerazione l’ipotesi di chiedere l’attivazione della clausola che permette di fare debito per il riarmo senza incorrere nelle magli dei parametri di Maastricht. Cioè di aderire davvero al piano di riarmo dopo averlo votato. La decisione finale è rinviata a fine giugno, dopo il vertice Nato. La strada è in salita: bisogna superare le fortissime resistenze politiche della Lega, bisogna convincere Giorgetti, se possibile anche più contrario ma per altre ragioni: la comprensibile ostilità di fronte all’ipotesi di far lievitare ancora un debito pubblico di nuovo alle stelle. Ma il solo fatto che l’attivazione dello strumento inventato dalla riarmantesi Ursula von der Leyen non sia più esclusa al 100% dice tutto. Ma il recupero, per Giorgia, sarà difficilissimo e non basterà una foto per farcela. Ieri al termine del summit, Macron, Merz, Starmer e Tusk si sono riunti con Zelensky. Insieme si sono messi in contatto telefonico con Trump. Giorgia non la ha invitata nessuno.
l'Unità